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29 Settembre 2020
Sandro Bergamo, AD del Gruppo, spiega evoluzione e ragioni del successo di DKC

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comunicazione DKC

DALL'ESTERO PER ARRIVARE IN ITALIA

Sandro Bergamo, AD del Gruppo, spiega l'evoluzione e le ragioni del successo di DKC

Negli anni ‘90, Marco Cecconi (mancato improvvisamente nel 2016), intuisce il potenziale derivato dalla disgregazione dell'Unione Sovietica e fonda, a Mosca, una piccola società di telecomunicazioni insieme a giovani imprenditori russi.

Quella prima realtà è, oggi, un Gruppo consolidato con 36 stabilimenti in 8 nazioni di cui 10 in Italia, con 3.700 dipendenti nel mondo, un fatturato di 384 milioni di euro, 75 milioni di euro di ebitda e investimenti nel 2019 per oltre 30 milioni di euro.

Questo dopo aver conquistato, nell'anno precedente e come DKC Europe (società operativa del Gruppo), un posto di prestigio nelle top 100 Eccellenze italiane nel settore manufatturiero*.

Una serie di domande rivolte a Sandro Bergamo, Amministratore Delegato del Gruppo DKC, per capire le ragioni di un successo del tutto particolare.

D. Dove e quando nasce DKC?
R. Siamo alla fine degli anni '90 a Tver, una piccola realtà a 160 km da Mosca. Qui, Marco Cecconi ed io, insieme a Dmitry Kolpashnikov, fondiamo la DKC (DKS pronunciato in cirillico) che, all'epoca, era una piccola società di telecomunicazioni.

D. Perché proprio Tver, perché proprio la Russia?
R. Erano anni di transizione, l'Unione Sovietica non esisteva più, per questo motivo molte grandi aziende entrarono in questo mercato e incominciarono a lavorare fino al 1998, quando iniziò un periodo di grande crisi che durò circa due anni. Durante questo periodo, molte aziende abbandonarono per timore di perdite ingenti. Noi, invece, ne abbiamo visto il potenziale: tutto da (ri)costruire, da organizzare, elettrificare, digitalizzare. Certo, nulla si improvvisa. Dmitry ci ha permesso di avere un socio che conosceva alla perfezione il mercato e che sapeva rapportarsi con le regole del territorio individuando sempre il momento giusto per agire.

D. Dopo questo periodo che decisioni avete preso?
R. Abbiamo pensato alla nostra Italia. Un Paese sicuramente avanzato e organizzato, ma che nel 2007 mostrava ancora margini di crescita e sviluppo.

D. Qual è stata la vostra strategia?
R. Ci siamo fatti guidare da due principi: opportunità e rilancio. Di fatto abbiamo studiato il mercato e abbiamo individuato quelle aziende che assicuravano know-how, esperienza, network, tradizione e conoscenza del territorio che, però, mostravano sofferenza e le abbiamo acquisite rilanciandole verso il successo. È stato così per Cepi (2007), Costel (2008), Cosmec, Conchiglia, Enercov (2014), completando successivamente con Steeltecnica (2015) e RGM (2019). *Frutto dell'analisi di dati di bilancio di ben 250.000 aziende italiane, stilando una classifica delle TOP 500 con ricavi dai 2 ai 250 milioni di euro, condotta da Leanus e pubblicata su Milano Finanza il 04/01/2020

D. Sembra facile.
R. Sembra, infatti. Ma il lavoro di integrazione delle diverse culture aziendali ci ha fortemente coinvolti. Impegno, passione, visione e determinazione ci hanno permesso di superare ogni difficoltà e diventare la DKC che oggi conosciamo permettendoci, in più, di sanare le aziende acquisite.

D. Il futuro dove vede DKC?
R. Il mercato elettrotecnico tradizionale non mostra elevate potenzialità di crescita, a meno che queste non siano fortemente improntate alla sostenibilità, tema sentito come prioritario per il futuro a livello a globale. Per questo motivo, nei nostri progetti vediamo l'elettronica di potenza e la capacità di gestire l'accumulo di energia, soprattutto quella prodotta da fonti sostenibili, industriale e domestica, come la strada che ci farà costantemente crescere.

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